TEMPO PERSO?

LA SCUOLA E IL TEMPO PERSO

Un paio di mesi fa, commentando una proposta di cambiamento del calendario scolastico incentrata sull'idea che la scuola dovesse recuperare il tempo perso nel corso della pandemia, su Vanverismo pedagogico avevamo usato queste parole:

c’è tuttavia un modo per riconoscere la vanvera da un discorso impegnativo sul tempo-scuola: si tratta della capacità di qualificare educativamente il tempo al quale si fa appello. Premesso che non esiste un tempo perso da recuperare, se non facciamo lo sforzo di descrivere come intendiamo impiegare il tempo educativo è meglio parlare d’altro. D'altro canto, il tempo per parlare d’altro sorprendentemente non manca mai. Viviamo in un paese che riesce a trasformare un modello pedagogico come il Tempo Pieno in una mera estensione delle ore passate a scuola, figuratevi quanto ci mette a ridurre a un eterno Termidoro certi rivoluzionari aggiustamenti del calendario scolastico.


Due mesi dopo, siamo ancora lì: secondo  uno dei redattori della Buona Scuola, nel corso delle consultazioni Draghi avrebbe parlato della necessità di modificare radicalmente il calendario per recuperare il tempo perso con la DaD.


Ma veramente abbiamo perso tempo con la DaD?


Per rispondere affermativamente a una domanda del genere è necessario dimostrare che gli eterogeni processi di insegnamento e apprendimento che sbrigativamente e inaccuratamente sono stati ricondotti entro l'etichetta DaD abbiano inciso negativamente sullo sviluppo cognitivo, metacognitivo, sociale ed emotivo di studentesse e studenti.
Per dimostrare una cosa del genere è però necessario monitorare e descrivere tali processi, rilevando le differenze tra una prassi e l'altra per poi stimare il loro impatto su quel che sappiamo sugli apprendimenti, avendo cura di spiegare come isolare l'effetto netto dell'insegnamento rispetto all'incidenza di altre variabili (come la condizione socio-economica e molte altre cose che, da sempre, esercitano una notevole influenza sulla faccenda).
Lo abbiamo fatto?
No.

Avremmo potuto farlo?
Sì, di tempo ne abbiamo avuto, ma abbiamo scelto di impiegarlo diversamente.

In compenso, si sta invocando la somministrazione di prove oggettive per dimostrare che la DaD non funziona. Sicuramente tali prove oggettive restituirebbero alcune informazioni utili a farci un'idea del livello degli apprendimenti di milioni di studentesse e studenti, ma senza una adeguata descrizione delle diverse scelte operate da chi insegna non saremmo comunque in grado di stimare l'impatto esercitato "dalla DaD".
Piuttosto, confrontando i risultati di quest'anno con quegli degli anni precedenti, potremmo farci un'idea dell'impatto che in generale la crisi del 2020/21 ha avuto sugli apprendimenti. Ma scambiare l'impatto di un sistema complesso con quello esercitato specificamente dalla didattica è un errore che personalmente posso aspettarmi da studentesse e studenti alle prese coi primi rudimenti di pedagogia sperimentale, un po' meno da gente che pretende di impartire lezioni sulla scuola o alla scuola.

L'impressione è che la scuola in questi mesi più che una perdita di tempo abbia patito una serie di umiliazioni.
Della scelta di liquidare come "tempo perso" l'impegno che studentesse, studenti e docenti hanno profuso per apprendere e insegnare nella distanza forzata ho appena detto.
Ma c'è dell'altro.
Docenti e personale ATA hanno scoperto che nelle scuole sono sospese le regole di tutela della salute normalmente in vigore in altri posti di lavoro. Per esempio, in nessuna azienda è consentito assembrare quindici, venti o trenta persone nella stessa stanza per ore, consentendo loro di togliere la mascherina ("una volta al banco", diceva la ministra lo scorso autunno, ricordate?) o addirittura di non indossarla mai. Gli effetti di queste scelte sono noti (aumento di contagi e decessi), ma quel che qui interessa è che tali scelte hanno confermato cose che già sapevamo. Per esempio, sapevamo che in particolare la scuola dell'infanzia e la scuola primaria sono percepite come un parcheggio che consente a padri e madri di lavorare, ma vederlo esplicitamente formulato fa un certo effetto.
Avremmo potuto evitarlo?
Sì, ne abbiamo avuto di tempo per organizzare un efficiente sistema di testing e tracciamento e per rimodulare spazi e ambienti nelle scuole in modo da garantire una presenza sostenibile non solo dal punto di vista della salute, ma anche sul piano educativo.

Abbiamo avuto molto tempo per ragionare sulle condizioni per assicurare una didattica in presenza e a distanza di qualità, ma abbiamo scelto di impiegare il nostro tempo a fare altro: impantanandoci nell'idiota polarizzazione tra scuola "aperta" e scuola "chiusa", lamentandoci di cose che non conosciamo ("la DaD non funziona"), proponendo strumenti pensati per altro (i "banchi con le palle") o misure del tutto insufficienti (le "rime buccali").


No, non è stata la scuola a perdere tempo.

CC
09/02/2021