Ieri la ministra Azzolina si è detta molto preoccupata perché "la didattica a distanza non funziona". Nel complesso, e scusandomi per la generalizzazione, mi pare che sulla politica scolastica abbiamo assistito a un doppio fallimento, dal punto di vista educativo e dal punto di vista della salute.
Dal punto di vista educativo, non abbiamo inquadrato pedagogicamente la crisi. Se è vero – ed è vero – che ci sono state qua e là ottime esperienze di insegnamento sia "a distanza" sia nell'atipica presenza esperita quest'anno, sono mancate totalmente, a livello generale, indicazioni su come incoraggiare la partecipazione attiva, sviluppare l'autonomia e la motivazione intrinseca per migliorare gli apprendimenti. Basta leggere le linee guida sulla DDI per rendersene conto. Sono tardive (escono ad agosto, cinque mesi dopo l'avvio dell'insegnamento a distanza), si concentrano sulla dotazione tecnica e suggeriscono erronamente che determinate strategie didattiche siano agevolate dal ricorso al digitale. Così facendo, tali strategie sono trattate come meri mezzi e vengono ignorate le visioni complessive del rapporto tra insegnamento e apprendimento che le fondano. Sono linee guida che non sostengono un ripensamento dell'insegnamento in un momento di crisi. Troppo spesso chi insegna ha meccanicamente trasposto a distanza le modalità di conduzione della lezione che aveva in presenza: si tratta di uno degli errori più gravi dal punto di vista didattico. Per mesi, si è preferito parlare di banchi con le palle e connessioni e non di didattica: è così che abbiamo perso tempo.
In presenza, non abbiamo dimostrato di aver tutelato la salute di chi dentro la scuola lavora, insegna e apprende. Sappiamo che da settembre docenti e personale ATA sono più soggetti a contagio delle altre categorie. Sappiamo che, nel complesso, in Italia nel mese di settembre sono morte a causa dell'epidemia 400 persone, a ottobre quasi 3000, a novembre 17000. È davvero difficile credere che l'avere scelto di stipare all'avvio dell'as 2020/21 più o meno lo stesso numero di studentesse e studenti più o meno nello stesso numero di aule dell'anno precedente non abbia influito pesantemente su questa tragedia contribuendo a diffondere i contagi. Comunque la si pensi, il problema è che ci viene chiesto letteralmente di "credere": infatti, non abbiamo alcun dato valido e affidabile in merito. La scelta di non monitorare seriamente l'andamento dell'epidemia nelle scuole ha rappresentato una gravissima mancanza dal punto di vista etico, democratico e scientifico. Nel corso di una pandemia, avviare la didattica in presenza senza un efficiente sistema di test e tracciamento è un atto di irresponsabile cinismo: valeva a settembre, vale a gennaio. Per mesi, si è preferito parlare di rime buccali e non di tutela della salute: è così che abbiamo messo a repentaglio migliaia di vite.
Se vogliamo davvero assegnare "priorità alla scuola" e non al covid è necessario pretendere da un lato test, tracciamenti e spazi adeguati. D'altro canto, dobbiamo smetterla di credere che "fare lezione" sia sinonimo di "insegnare": quest'anno, molte famiglie hanno toccato con mano il fatto che così non è a distanza. Il problema è che non è mai stato così neanche in presenza.
12/01/2021