Nel corso di questa pandemia, il discorso sulla scuola (ovvero “sopra” la scuola: mai 𝗰𝗼𝗻 l𝗲 scuol𝗲) ha acuito le deficienze che già lo caratterizzavano ai tempi della sopravvalutata normalità.
1. In primo luogo, il discorso sulla scuola è stato 𝗮𝗻𝘁𝗶𝘀𝗰𝗶𝗲𝗻𝘁𝗶𝗳𝗶𝗰𝗼. Già a ottobre è emersa chiaramente la correlazione tra riavvio delle lezioni in presenza e impennata di contagi e morti. Una correlazione coerente coi timori espressi da chi riteneva che non fosse una buona idea assembrare per ore individui in aule poco capienti in assenza di un efficiente sistema di testing e tracciamento, senza spazi adeguati e trasporti all’altezza. Chiaramente, una correlazione non implica di per sé un nesso causale. Tuttavia, il ragionamento scientifico ha natura ipotetico-deduttiva ed empirico-sperimentale. Questo significa che l’incidenza del riavvio delle attività in presenza sulla morte di migliaia di esseri umani è “probabile” e che, in assenza di una robusta teoria in grado di spiegare in maniera alternativa certe correlazioni o di dati empirici contrastanti, noi non possiamo affermare né che le scuole sono sicure né che non incidono sull'andamento dei contagi. Il discorso sulla scuola portato avanti dal Comitato Tecnico Scientifico, da pagine come Pillole di Ottimismo, movimenti come Priorità alla scuola e dalla maggior parte del mondo dell’informazione è stato caratterizzato, nel migliore dei casi, da una sconcertante incompetenza. Per esempio, si è tentato di contestare la correlazione usando i dati sui focolai. Ma tali dati sono viziati dall’assenza di un sistema efficiente di testing e tracciamento, saltato già a ottobre e tendente ad attribuire – proprio a causa della sua inefficacia – alla famiglia i contagi che non è in grado di rintracciare altrove. Per esempio, si è cercato di avvalorare la vanvera delle scuole sicure e non incidenti sui contagi usando lo studio di un’agenzia europea come l’ECDC, ma tale studio era riferito non all’Italia ma ad alcuni paesi europei che hanno riavviato le loro scuole ad agosto e in condizioni diverse dalle nostre. La realtà dei fatti è che, a parità di tamponi, l’incidenza dei contagi sul personale scolastico della scuola dell’infanzia e della primaria è del 200% superiore ai soggetti di altre categorie.
Ci sono state lodevoli eccezioni a questo atteggiamento antiscientifico. Voglio pubblicamente ringraziare Alessandro Ferretti, che ha smontato molte vanvere sui dati scolastici, e Davide Tosi, che sulla sua pagina Predire è meglio che Curare ha fornito stime affidabili che, se assunte seriamente da chi amministra e governa, avrebbero consentito di risparmiare vite.
2. In secondo luogo, il discorso sulla scuola è stato 𝗮𝗻𝘁𝗶𝗱𝗲𝗺𝗼𝗰𝗿𝗮𝘁𝗶𝗰𝗼, basato su una logica dell'adempimento, intimidazioni e fondati timori di ripercussioni. Si è cominciato con l’imporre dall’alto alle scuole un protocollo. Si tratta di un protocollo dettato da esigenze di risparmio: piuttosto che investire sugli spazi, i due metri di distanza con mascherina in ambienti chiusi sono diventati uno e, all’Infanzia, è stato eliminato l’obbligo di mascherina. È stato semplicemente detto che applicando tale protocollo – che non è mai stato sperimentato né validato, come indica chiaramente Crisanti, né sottoposto a monitoraggio – sarebbe andato tutto bene. Sono state fatte pressioni per evitare che emergessero pubblicamente perplessità da parte di dirigenti e docenti. Tra queste pressioni, vorrei ricordare la firma di documenti che costringono il singolo individuo ad assumersi la responsabilità in caso di positività (perché il Sacro protocollo è infallibile, dunque se ci si contagia a scuola la colpa è individuale), le minacce più o meno velate in caso di richiesta di personale extra o di denuncia di spazi inadeguati, l’aperta censura operata nei confronti di un dirigente che aveva espresso garbatamente riserve sulla gestione ministeriale del “rientro a scuola”.
Ci sono state lodevoli eccezioni a questo atteggiamento antidemocratico. Non faccio nomi, perché il clima intimidatorio suggerisce prudenza, ma voglio ringraziare docenti e dirigenti che mi hanno scritto in privato o hanno scritto a
Vanverismo Pedagogico (una pagina nata per fare satira, che si è vista costretta a riempire un vuoto). Inoltre, ringrazio docenti e dirigenti che nelle scuole hanno apertamente contestato queste irresponsabili e antidemocratiche scelte. Aggiungo che da sindacati e associazionismo di dirigenti e docenti mi sarei aspettato di più, ma non è mai troppo tardi.
3. Infine, il discorso sulla scuola è stato 𝗮𝗻𝘁𝗶𝗲𝗱𝘂𝗰𝗮𝘁𝗶𝘃𝗼. Il dibattito è stato egemonizzato dalla polarizzazione idiota tra “didattica a distanza” e “didattica in presenza”. Non si è compreso che la “didattica a distanza” non sostituisce quella in presenza e non è riconducibile al quadro che è stato tracciato in questi mesi. Quanto improvvisato da migliaia di insegnanti in condizioni di emergenza raramente ha risposto ai canoni della didattica a distanza, ma ha rappresentato un generoso, caotico e, soprattutto, eterogeneo insieme di attività di insegnamento non riconducibili a un’unica idea di didattica. Inoltre, si è provveduto ad armare, sin dai primi mesi, una stucchevole retorica della presenza che, impedendo di inquadrare pedagogicamente la crisi e di evidenziare gli elementi più retrivi dell’insegnamento in tempi di normalità, ha finito col trasmettere l’idea che l’insegnamento e l’apprendimento a distanza fossero “tempo perso da recuperare” e che alla didattica a distanza andassero addossate dispersione, iniquità e mancanze negli apprendimenti.
Scienza, democrazia ed educazione sono processi strettamente connessi (e correlati).
Personalmente, credo che il compito della pedagogia sia quello di sfidare apertamente questo discorso sulla scuola. Perché è un discorso che se in tempi di "normalità" genera ignoranza, in tempi di pandemia fiancheggia scelte che provocano decine di migliaia di morti.
8/1/2021