VANVERISMO PEDAGOGICO
Il 2019 è stato indubbiamente un anno di ampia diffusione per il vanverismo pedagogico. La locuzione si è guadagnata titoli e citazioni su giornali e altri mass media e la cosa ha inevitabilmente generato un po' di confusione sul suo significato. Siccome in educazione i termini-ombrello abbondano da sempre e non riparano da nulla, come inventore della locuzione e amministratore (dal 2014) della relativa pagina facebook, vorrei fare chiarezza sul significato originario di "Vanverismo pedagogico". È vero: le parole camminano, anzi corrono, con le proprie gambe, e procedono in maniera imperscrutabile (o anche a vanvera), però vanverismo pedagogico un suo scopo originario ce l'ha, ed è auspicabile impiegare tale locuzione contro la vanvera, non a vanvera.
Per questo, credo sia opportuno ripubblicare qui la
Risposta alla domanda: che cos'è il Vanverismo pedagogico?
«Risposta alla domanda: che cos’è il Vanverismo pedagogico?»
Il Vanverismo pedagogico è la tendenza a parlare di educazione facendo appello a luoghi comuni, stereotipi e aneddotica personale per argomentare le proprie posizioni. Tali posizioni, il più delle volte, sono esse stesse luoghi comuni.
Ciò che qualifica un ragionamento come vanverista è primariamente la sua componente metodologica, una euristica incentrata sul rifiuto totale del ricorso a evidenze frutto di indagini o analisi approfondite della tematica, ricorso al quale si contrappongono generici richiami a esperienze personali o luoghi comuni. La preminenza del metodo non impedisce, tuttava, l’emersione di un nucleo fondante di contenuti forti della retorica vanverista. Si tratta di aree tematiche che raccolgono affermazioni che vengono indifferentemente impiegate come premesse o come conclusioni all’interno del ragionamento vanverista, scambiandosi di posizione anche nel corso della stessa discussione.
La seguente esemplificazione propone, a scopo esclusivamente didattico (si perdoni la scelta del termine), tre passaggi chiave della logica vanverista e il loro posizionamento all’interno di un discorso rigorosamente a vanvera.
Posizione del problema: retorica dell’emergenza (es. “la disciplina va in vacca”).
Analisi: il passato come paradiso perduto (es. “ai miei tempi si bocciava”).
Le soluzioni: contenuti forti, rigore, meritocrazia, difficoltà e selezione (es. “reintroduciamo l’educazione civica e il saluto in piedi all’insegnante”).
Con il richiamo a un passato eccellente e la proposta di soluzioni vaghe, il discorso vanverista assolve la fondamentale funzione di promozione d’un radicale disimpegno individuale e comunitario su scuola e università. Il Vanverismo pedagogico è dunque la permanenza della riflessione sull’educazione nello stato di minorità che essa deve imputare a se stessa.
04/12/2019 Cinque cose sull'Ocse Pisa.
Cosa dice – e cosa non dice – secondo me l'Ocse Pisa.
Per iniziare: Pisa 2018 rappresenta una misura sufficientemente affidabile del rendimento nella comprensione della lettura della popolazione di quindicenni.
Detto questo, cinque cose vanno aggiunte.
1. Pisa non indica, come sostiene (e non da solo) il ministro Fioramonti, che rispetto al passato siamo peggiorati né che la qualità della scuola sia diminuita. Infatti, i risultati del 2018 sono del tutto simili a quelli delle edizioni precedenti (dal 2000), e del tutto coerenti con indagini simili svolte a partire dal 1970. Quanto alla qualità della scuola, Pisa non è in grado di dire proprio nulla, dato che non descrive compiutamente né osserva alcun processo scolastico e che non è in grado di separare l'effetto netto che sul rendimento in lettura ha la scuola da quello che, più in generale, esercitano la famiglia, il sistema sociale ed economico e mille altri fattori. Possiamo impiegare la statistica per farci una pallida idea di queste cose, ma non essendo disegni sperimentali non possiamo andare oltre l'indicazione di correlazioni (che peraltro sono sì significative, ma basse).
2. Pisa non dice che solo un* quindicenne su venti è in grado di comprendere quel che legge. Quella proporzione è relativa ai "top-performer". In realtà, il "livello minimo di 'competenza'" è raggiunto dal 77% del campione italiano. Le semplificazioni giornalistiche rilanciano la retorica della crisi della scuola, perché i luoghi comuni vanno via come il pane: il paradosso è che è la popolazione adulta quella che, così agendo, mostra di comprendere poco e male un testo scritto.
3. Siamo peggiorati nei punteggi in scienze. Tuttavia, come ha evidenziato ieri, durante la presentazione del rapporto, un'esperta come Michela Mayer, le prove di scienze rispetto al passato sembrerebbero aver subito notevoli modifiche, per cui non sappiamo se il peggioramento sia effettivo o se sia solo cambiato il metro. E questo è un bel problema.
4. I risultati cinesi non vanno presi in considerazione. La Cina non presenta un campione probabilistico. È un po' come se la Grecia partecipasse con la sola Atene. Alla Grecia non è concesso, alla Cina sì. Non è impossibile che la Cina abbia più potere della Grecia nelle trattative con l'Ocse, ma anche questo sarebbe un bel problema.
5. Il Rapporto tecnico potrà darci altre informazioni più analitiche. Le prove Pisa sono generalmente migliori delle prove Invalsi (prevedono molte domande a risposta complessa). Le prove rilasciate di solito sono quelle scartate, perché presentano problemi di affidabilità o validità. Quando andate on line sulla pagina del Corriere "non fate il test Pisa", ma rispondete a domande che generalmente sono scartate.
Per concludere.
Non chiediamo troppo a Pisa: il modello teorico non è stato ancora validato con una compiuta analisi fattoriale, quindi appare improbabile che Pisa possa dirci quale proporzione di quindicenni sappia distinguere fatti e opinioni o una fake news dalla verità. A questo punto non è del tutto improbabile che tale percentuale sia più elevata tra la popolazione di quindicenni che tra quella adulta che lavora nelle redazioni dei giornali.
Pisa 2018 rappresenta una misura sufficientemente affidabile del rendimento nella comprensione della lettura della popolazione di quindicenni. Non chiediamo di più, ed evitiamo di cadere nel Vanverismo Pedagogico.
I toni apocalittici sono infondati e non aiutano, dovremmo imparare a pre-occuparci di meno per la scuola in occasioni eccezionali (come la pubblicazione di rapporti simili) e a occuparci di più di problemi educativi quotidianamente, possibilmente in maniera misurata e informata.